sabato 5 dicembre 2009

CONCLUSIONI PROVVISORIE

CONCLUSIONI PROVVISORIE. IL FUTURO DEL PARTITO DEMOCRATICO

Le Primarie del 25 ottobre sembrano aver restituito fiato ed energia al Partito Democratico. I sondaggi registrano una ripresa di consensi, ed anche l’annunciata fuoriuscita di Rutelli non sembra aver turbato, più tanto, militanti ed elettori della principale forza del centrosinistra italiano.

Al contrario, il PDL e la maggioranza di governo sembrano vivere una fase travagliata e di conflittualità interna, come finora non si era vista. Tutto questo è la conseguenza dell’indebolimento della leadership del premier, colpito dagli scandali sessuali che hanno animato il dibattito pubblico e dalle sue vicende giudiziarie. Nel frattempo Fini ha lanciato la sua sfida alla leadership berlusconiana, differenziandosi progressivamente su questioni cruciali quali la laicità dello Stato, l’integrazione degli immigrati, la riforma della Costituzione, per profilare l’idea di una destra non populista, liberale, europea, moderna, rispettosa dei diritti dell’individuo. Il suo progetto non è a mio avviso far cadere il Governo, né causare una scissione del PDL, ma modificarne l’impianto culturale e proporsi come leader di una destra possibile per il futuro.

E’ troppo presto per dire che assistiamo ad un declino del berlusconismo, sicuramente però possiamo dire che la sua egemonia sulla società italiana, che è un dato di fatto, sia stabile e non superabile nel breve o medio tempo. Eppure, si comincia a discutere, come ha fatto di recente il Segretario del PD, di possibile tramonto del berlusconismo. Se questo avviene, non è perché Berlusconi ha commesso qualche leggerezza nelle sue frequentazioni femminili né tanto meno per l’eroismo, o a seconda dei punti di vista la cattiveria dei magistrati. L’egemonia berlusconiana appare sempre più come una realtà a rischio per la semplice ragione che anche la destra, così come la sinistra, in questi anni non ha saputo portare a compimento la transizione italiana ed europeizzare il Paese. Il berlusconismo sempre più appare come il frutto della transizione incompiuta piuttosto che il suo approdo, il prodotto di una delegittimazione generale della politica, che non a caso anche a sinistra genera l’affermarsi di posizioni populiste e predemocratiche (vedi il fenomeno del dipietrismo).

Se questa mia analisi corrisponde al vero, ci sono spazi assai importanti per il Partito Democratico, per proporsi come alternativa credibile alla possibile crisi della destra berlusconiana. Per potersi affermare come tale, occorre però un impegno nel profondo nella società; non è sufficiente un buon programma di governo, occorre modificare mentalità e costumi degli italiani, ricomporre fratture e abbattere barriere secolari, tra Nord e Sud del Paese, tra cattolici e non cattolici, tra italiani e nuovi cittadini provenienti da altri popoli. Occorre fare i conti con i propri limiti e proporsi con una piattaforma chiara e convincente di modernizzazione del Paese, a partire da un proprio autonomo sistema di valori.
E’ possibile che nello scenario futuro prossimo della politica italiana, lo sfidante del PD non sarà più Berlusconi, e la partita non sarà quindi come è avvenuto negli ultimi 15 anni tra berlusconiani ed antiberlusconiani, tra due modelli alternativi persino sul piano antropologico, e che quindi il confronto sia tra due ipotesi diverse di fuoriuscita di una lunga transizione che ormai da troppo tempo non vuole concludersi.

Sarebbe un bene per il Paese, ma sta solo ed esclusivamente al Partito Democratico trovarsi pronto a questo appuntamento. Gli elementi essenziali che ho provato a delineare per un PD che sia pronto alla sfida sono l’elaborazione di una nuova visione del mondo, l’individuazione di un’etica condivisa, la proposta di un progetto di integrazione ed europeizzazione del Paese che unifichi Nord e Sud dell’Italia.
Senza questo salto di qualità, il PD rischia di essere una riedizione del PCI, non per visione ideologica, ma per funzione: ossia, rappresentare una opposizione forte e radicata, ma incapace di proporsi come forza di governo e saranno altri a giocare la partita del dopo Berlusconi. Questo è il ruolo cui corre il pericolo di ridursi un PD che non sappia porsi l’obiettivo di laicizzare la società italiana e allo stesso tempo diventare il primo partito dei cattolici italiani, di incarnare l’ansia di riscatto della società meridionale e contemporaneamente interpretare le esigenze di modernizzazione delle piccole imprese settentrionali, rappresentare il mondo del lavoro delle fabbriche e dare voce al popolo delle partite IVA. In poche parole, avere un progetto ambizioso di riunificazione ed europeizzazione dell’Italia, la forza e la credibilità per realizzarlo.

Bersani ha il compito di dimostrare che la classe dirigente che in questi ultimi 15 anni ha fondato prima l’Ulivo, esperienza conclusasi in modo fallimentare, e poi il PD, abbia ancora le carte in regola per rinnovarsi e portare fino in fondo la sfida per il governo dell’Italia del nuovo secolo. Se anche questa volta fallirà, non potrà che essere una leadership di nuova generazione a raccogliere il testimone da chi l’ha preceduta.

Nessun commento:

Posta un commento